Elenco blog personale

domenica 7 agosto 2022


 

Amami

 

Innamorati di me,

del chiarore dei miei occhi

dei profondi miei silenzi,

quando tremo se mi tocchi.

Innamorati di me,

del sorriso mio sincero,

di una lacrima che sfugge

mentre il cielo si fa scuro.

Innamorati di me,

per l'amore che ti dono,

il legame che ci unisce,

si trasforma in dolce suono.

Innamorati di me,

ogni giorno è una conquista

che riaccende la passione,

è prezioso ciò che resta.

Innamorati di me,

lungo il viale del tramonto

se alla fine del sentiero,

a te dedico un nuovo canto.

Innamorati di me,

di una vita condivisa,

tra i respiri del passato,

una fiamma ancora accesa.



 

La domenica del villaggio

(Chiesa di Sant' Egidio)

 San Gillio torinese


È giorno, domenica mattina,

il silenzio canta nella strada,

il cielo sfuma vene d’azzurro

tra rosee nubi, tace la tortora.

La finestra si apre su una tela,

forse un dipinto d’autore,

tenui i colori celano l’essere

assopito vivere di una via.

Cerco emozioni, una melodia,

per liberare un pensiero nuovo,

poco importa, tra breve la vita

tornerà ancora a fremere lenta,

tra cigolii di biciclette, guaiti

e rumorosi tacchi di signore

avviate alla chiesa della piazza.

La messa, un pettegolezzo e poi,

i consueti pasticcini per la festa.

Rintocca  la campana, ha una nota

stonata ma, beata verità, spezza

bizzarra, la monotona abitudine

del villaggio, la sua uggiosa vitalità.

giovedì 21 luglio 2022

BUONGIORNO


Buongiorno

 

Sulle ali tese dei gabbiani

lieto si posa il mio saluto,

plana sui raggi del sole

emanando va calore e gioia

agli animi più cupi e mesti.

Sale entusiasta il buongiorno,

la spumosa cresta dell’onda,

sorniona ne riflette la luce

tra mille sguardi increduli,

agnostici ai credo, scettici

a un ribadito domani felice,

fatto di lievi, leggere parole

profumate dolci e gentili.

Armonioso canto gioviale,

sul soffio di un pensiero

caro, lontano e vicino al cuore.

Buondì, eterno gesto d'amore

      riaccende  sogni e fiducia

      come lo sbocciare del fiore.

É un motto, la fine di un verso,

l'inizio di un radioso sorriso,

un saluto globale mai perso,

cresce nella luce, poi sale

là, dove la tristezza fa male.

Buondì qui diventa speranza,

il sole splende nella stanza,

penetra le finestre chiuse.

É un attimo o una vita intera,

attende il nuovo miracolo,

a mutare l’aliena atmosfera.



  

mercoledì 20 luglio 2022

PROFESSIONISTI DEL NULLA

 

I professionisti del nulla

 

“Bisogna mettere l’asino dove vuole il padrone. ”Così esordiva spesso mia nonna.

Erano alti tempi, però. Abbiamo superato il primo ventennio del duemila e si sta consumando rapidamente.

Tanti valori si sono persi, il mondo cambia vorticosamente, non sempre nel modo migliore.

Parlando di lavoro, sono state stravolti i risultati raggiunti dalle contestazioni passate, atte a migliorare la vita dei lavoratori.

Oggi è difficile trovare una occupazione adeguata alle proprie caratteristiche, ma ancor di più trovare chi offra un lavoro in regola con le normative ufficiali.

 

Dopo aver deciso di interrompere gli studi universitari di Architettura, in seguito alla proposta di un impiego ben remunerato come progettista d’interni, sono entrato a far parte del mondo lavorativo. E così è iniziata a mia odissea.

Io, che amavo il disegno sin dalla tenera età, costruendo castelli con i miei sogni, scalavo le vette più ambiziose. Sarei dovuto essere più attento. Esagerare nei progetti è pericoloso, si rischiano brutte cadute e gigantesche delusioni.

Ho accettato quella proposta, infatti, più per la promessa dello stipendio, al di sopra delle aspettative, che per la mansione da svolgere, che non conoscevo.

Del resto, avrei dovuto affrontare anni di studio prima di affermarmi e diventare indipendente: obiettivi troppo lontani.

Detto questo, per maturare esperienza, mi hanno inserito per un breve tirocinio (ovviamente in nero). presso uno studio di design in centro a Torino.

Purtroppo, i proprietari, dichiarandosi in momentanea difficoltà, dopo appena due mesi, mi hanno sospeso il compenso pattuito, pregandomi di pazientare.

Pazienza che a ulteriori tre mesi di lavoro gratuito, si è esaurita e, visto il loro totale disinteresse a riguardo, ho risposto all’inserzione di un mobilificio e, di lì a breve sono stato assunto.

Potevo ritenermi fortunato, la paga era abbastanza regolare, a parte l’obbligo dei sopralluoghi per il rilevamento misure, da a svolgere a mie spese.

Avendo maturato una buona manualità nella progettazione a mano libera e sui programmi specifici, oltre a una maggiore sicurezza nell’approccio con il cliente, mi è giunta una nuova proposta, presso un centro cucine dal marchio importante.

Trascorso il primo anno di assunzione, a contratto verbale, sono stato confermato regolarmente, al minimo sindacale. Un passo a ogni modo gratificante: clientela distinta, ambiente gradevole e utile a crescere il livello della mia professionalità. Rilievi misure, unico e solito nodo da sciogliere.

Il terzo anno lavorativo, volendo evitare di investire un cane, al rientro da un sopralluogo,  ho perso il controllo dell’auto, subendo seri danni alla vettura. Per fortuna ne sono uscito incolume, anche se dolorante.

A seguito di ciò, sono susseguiti inutili diverbi e, infine, ho interrotto i rapporti proprio per il rifiuto del titolare di contribuire, almeno in parte, ai danni subiti.

«C’eri tu alla guida, io non ne ho colpa.» il suo commento. Fine della storia.

Da allora, l’occupazione si è trasformata in una sorta di lotteria. Proposte di contratti rinnovabili ogni sei mesi o licenziamenti obbligati per difficoltà economiche delle aziende. Ovviamente non parliamo di meritocrazia, che è stata abolita proprio come concetto, in particolare nel commercio. Comunque non mi sono mai fermato: ritengo di essere un professionista serio.

Pare che il settore sia un genere gestito da persone abili nell’aggirare le regole. Vari balzelli per non pagare il dovuto, ma in compenso molte pretese.

Questo è il premio per un lavoratore esperto che svolge con passione la sua professione, e crede di costruirsi un futuro, guadagnandosi un minimo di carriera.

Trascorrono gli anni, nella consueta routine m’imbatto nel classico colpo di fulmine e pochi mesi dopo mi sposo. La vita di coppia, però, non funziona: litigi e incomprensioni, la annientano.

Nel frattempo, nelle grandi marchi commerciali sono state abolite le domeniche e le festività, imponendo ai dipendenti turni estenuanti e veri sacrifici: impossibile vivere la famiglia, avere una vita propria.

Mia moglie sola, i turni non coincidono, lei a fine settimana è libera, io no, mai. Così, addio matrimonio.

Ormai si sono persi tutti i valori e mi sono pentito di non aver proseguito gli studi.

Sono momenti difficili, subentra una sorta di stress, però la professionalità acquisita è di buon livello. Mi gratifica lo stipendio, sudato, ma di tutto rispetto, grazie agli incentivi dati dalle provvigioni.

Invece, ecco l’ultimo schiaffo morale: ancora una volta un fallimento.

L’azienda è molto rinomata a livello nazionale, la liquidazione cospicua, come le provvigioni e gli straordinari accumulati. Conti che non quadrano, costringono in massa tutti i dipendenti a rivolgersi a un consulente sindacale.

“Meno male! Recupereremo il dovuto”  penso. Già, ma non ho fatto i conti con  i sindacati, che tendono piuttosto ad accomodare, anziché punire l’Azienda in difetto.

Morale, trascorsi più di tre anni, percepisco, suddivise in rate, meno di un terzo di quanto mi sarebbe spettato. Chi difende i lavoratori?

A quarantacinque anni suonati, mi guardo indietro: non mi manca nulla. Ho una bella casa, l’automobile, ma cos’ho costruito? Non ho una famiglia, né figli da crescere, amici con cui uscire, mi manca i tempo e non posso fare progetti.

Una professionalità maturata da anni di esperienza, ma che non serve più.

Nel frattempo il mondo del lavoro è cambiato è gestito da multinazionali, che investono solo nella crescita dei propri interessi. I dipendenti non sono altro che numeri, robot a disposizione di chi comanda. Un sevizio, il mio  che, tuttavia, non viene valutato per quello che dà, in realtà; forse è apprezzato da qualche cliente soddisfatto, mai una gratificazione dalla “proprietà”.

Gli stipendi non sono allineati a quelli della comunità europea, né ai costi della vita attuale: sono rimasti gli stessi di vent’anni fa.

Amo lavorare, quindi, quasi possedessi una sorta di percezione sensoriale, Capto un nuovo lavoro, e invio il mio curriculum.

L’ultima alternativa mi viene confermata, in seguito a un colloquio svolto a parecchi chilometri di distanza. Però, il risultato è positivo.

E perché no? Tutto sommato, sempre di elementi di arredo si tratta, anche se le misure e le prospettive fatte manualmente o sui programmi del computer, non sono determinanti.

L’ambiente sembra gioviale, vivace, c’è tanto da fare, mi piace proprio per questo.

I clienti si susseguono in modo impressionante, invitati da pubblicità e dalle offerte allettanti, non c’è nemmeno il tempo di andare in bagno, si può dire.

Bene, andrà a favore delle provvigioni che maturerò mensilmente nel corso degli anni.

Comincio a presagire l’atmosfera di un certo regime. L’intento della proprietà di annullare l’individualità dei dipendenti, facendoli diventare marionette, o meglio, robot che ripetono a memoria una lezione. Un professionista vero, come loro stessi pretendono, può sentirsi gratificato, se gli viene impedito di pensare? Se, durante la trattativa con il cliente ha l‘obbligo di ripetere frasi che ricordano versi leopardiani e lo rendono ridicolo? É assolutamente fuori luogo, come pensano di incrementare le vendite?

Il lavoro è lavoro: “Bisogna mettere l’asino dove vuole il padrone” . E già, ma era mia nonna a dirlo. Lo so, ma inizio a reagire nervosamente. Succede anche a molti miei colleghi. I turnover per le domeniche, vengono aboliti, come le festività.

Le chiusure dell’anno? Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto. Nemmeno il primo maggio si resta chiusi. E gli straordinari? Bella domanda, si fanno e si accantonano, non si possono dichiarare. Al massimo si recupera qualche ora.

L’azienda, nonostante le grandi dimensioni, non fornisce di badg i dipendenti.

In compenso di devono motivare i mancati acquisti, visto che corre l’obbligo di monitorare quanti contatti si fanno in giornata.

Minacciati da ipotetici personaggi misteriosi, sconosciuti finti clienti, assunti appositamente per controllare i dipendenti, verificare se ripetono a memoria le fasi legate alla vendita dei singoli modelli. Il punteggio sarà un fattore determinante: in gioco è il licenziamento.

La mia memoria è elefantesca, come la rapidità con cui concludo la vendita, sarebbe un vantaggio, ma questo non basta. L’Azienda  dovrebbe offrirmi la possibilità di fare un minimo di carriera, ma non è così. I responsabili non fanno che pretendere orari infami e se qualcuno si oppone, rinfacciano e minacciano: “Siete pagati puntualmente e anche troppo, non lamentatevi!”  

Il mio domani non ha progetti. La mattina mi alzo col timore che capiti un altro problema da risolvere che, come spada di Damocle, mi costringerà ad affrontare una nuova estenuante diatriba. O a piegare il capo, altrimenti: “Quella è la porta” .

Comprendo adesso che, dopo tanti anni di lavoro impiegati a imparare tecniche e aggiornamenti, siamo davvero i professionisti del nulla. Fantasmi, che si aggirano ignorati, utilizzati come macchine per fare gli interessi altrui e, intanto, la salute psicologica si frantuma.

Questa è l’emancipazione data dalla cosiddetta globalizzazione dei mercati?

Non si è investito in aziende italiane affinché restassero a far crescere il Paese. Stiamo diventando la Patria degli sfollati, dei senza lavoro.

Amo l’Italia, e mi piange il cuore vederla ridotta così; soprattutto, non vedo la volontà di farla rinascere come meriterebbe. Lasciarla allo sbando è un sacrilegio, mi sembra di capire che si investa solo dove c’è un tornaconto importante. Bisogna dare degli esempi e una luce di pace e speranza vera al domani dei ragazzi: i bambini che futuro avranno? Soprattutto, basta menzogne e buffonate, occorrono regole salde e qualcuno di affidabile che le faccia rispettare seriamente.


lunedì 8 febbraio 2021

Dentro l'inganno

 


Spengo le luci sul celato egoismo
reprimo e rinnego il mondo là fuori,
vagando tentoni, nel buio più tetro
chiedendo chi sono e neppure io so
Chi mai potrò avvincere, far fremere
dentro gelidi verbi, spogli d’impulsi
disincantati, non vibrano i sensi
orfani ignari delle mie ossessioni.
Cieche e afone le emozioni, compaiono
aride schegge di umana compassione.
Indosso una maschera di bellezza interiore,
ingannando m’innalzo dentro l’ipocrisia.
Rifulge il chiarore, rinasce l’ardore
compiaccio me stessa nei sospesi versi,
inabile a discernere la mia identità,
rifratta l’immagine, diversa si mostra.
Rispecchio me stessa reprimo il mio ego,
dilemma scoprire ch’io sia quella vera,
caparbia cancello le vane incertezze,
ostento falsa la mia verità, spoglia da indugi.


Luisa Cagnassi

mercoledì 3 febbraio 2021

Perduto negli abissi (Atlantide)

 


Io, prigioniero dei miei contorti pensieri, m’inabisso nel mare delle ossessioni per scoprire, come nei misteri di Atlantide, la mia leggenda,
Tra antiche colonne di pietra, traccio i miei limiti, ancorato a questo lembo di terra, arida lingua desertica, povera di parole, appoggiata sulle onde dell’Oceano e barcollante come la mia vita.
Cerco inesorabile un volto, quello di una donna, l’amore vero, rimugino nella calura tra alcol e disperazione, ubriaco della mia pazza arroganza, mi sento un semidio che nulla deve, tantomeno il pentimento delle mie azioni.
É faticoso respirare negli abissi, a volte mi sembra di morire, gli anni lasciano il segno, la vita è dura e io non ho certo fatto in modo di plasmarla e renderla più malleabile. Ora, non so cosa diavolo faccio qui, privo di una carezza sincera. Io, maledetto bugiardo e ingannatore, adesso ne avrei una necessità irrazionale.
Rinchiuso, detenuto nei fondali di questo mare immenso, mi sento un mito di cui diranno le nuove generazioni, affascinate dal suono della mia cetra, il cui eco si diffonderà forse un domani e sconto le mie pene arpeggiando note amare. Ancora non so pentirmi, non so chiedere perdono per ciò che sono stato. Tornado impietoso io, ho divelto le altrui radici, ma non ho mai versato neppure una lacrima per riscattarmi del male causato.
Diventerò storia, condannato dagli dei e dagli uomini, a vivere in eterno nell’incubo solitario di un amore perduto, questo è quanto resta della mia vita.
I fondali sono torbidi, le onde smuovono ombre che paiono ricordi ammuffiti, in questa metafora che mi tiene sommerso, intravedo impronte del passato e cammino seguendo una luce, simile a una stella, un miraggio nel deserto dei rimpianti.
Un lume, lo raggiungo camminando su bianchi sassi di antiche strade circolari che convergono. Vedo o immagino al centro, un sontuoso palazzo dove, sulla soglia, mi attende una donna, una figura familiare.
La mia condanna è questa: non riesco a riconoscerne il volto. Avrà un nome? Cerco nella mente, il vuoto è assoluto: sarà un miraggio o pura immaginazione o follia. La punizione stabilita dal Dio del mare, capace di guidare le maree e di sconvolgere le menti altrui.
Ho amato qualcuno di cui non ricordo il nome, ho vissuto in luoghi che non ricordo nemmeno e odo voci che pongono domande, ma non trovo le risposte.
Percepisco il tocco di qualcuno sulla spalla, forse è lei, la donna misteriosa, ma la figura è scomposta, i miei occhi cercano tra le mura inondate, un attimo di coerenza. I suoni sono confusi ora e la luce che, come un faro, poco prima guidava i miei percorsi, si è affievolita.
L’acqua è torbida, forse non è neppure acqua, ma l’incubo persiste, ora ho paura. Nulla ha un senso, la solitudine è un macigno che pesa, cerco una mano che mi rassicuri, ma sbaglio la presa. I miei movimenti sono scoordinati, un male oscuro che mi proietta nella ragione immagini sconnesse.
«Andate via, via!» Vorrei urlare, non mi riesce e divento tempesta che tutto travolge.
Credevo di essere un mito, in una città perduta negli abissi, invece non ne so pronunciare nemmeno il nome, è difficile da articolare. Quelli che mi osservano, però, che cosa ne sanno?
Improvviso un lampo, un’emozione come un boato mi esplode dentro. Apro gli occhi; ora è diverso ciò che mi circonda. Una voce grida il mio nome: «Francesco!» poi mi stringe una mano.
Metto a fuoco l’immagine, prima ancora ne percepisco il profumo, la mente ricorda, il risveglio è lento, la solitudine uccide senza fretta.
I miei occhi incontrano due occhi di cielo, i suoi. Quelli per cui ho perduto la ragione e mi scoppia il cuore di gioia.
«Dissetami!» le sussurro. Le scivola una lacrima mentre posa un bacio sulle mie labbra aride e la goccia le bagna, poi un’altra. La vita riprende, il cuore batte forte dentro me e in questa stanza grigia. Ora i monitor, come esseri alieni, iniziano a suonare, l’ansia mi assilla. Respiro forte e poi rinasco dentro un respiro profondo, riemergo dalla città perduta degli abissi marini.
Il tempo guarirà le ferite, so anche che chiederò perdono per il male causato, questa volta, sarà il primo passo per ritrovare il senso della mia storia senza fine, insieme a lei. 

martedì 5 maggio 2020

PRIGIONIA



Prigionia

Mi opprime l’obbligata prigionia
l’intima agonia spegne l’anima.
Reclusa, lontana dal vivere vero,
i segreti ruba, ideali trascina via,
le emozioni, le pulsioni ostacola.
Strozza l’aria in gola, il respiro,
mi lascia impietrita e impotente,
tra i palpiti impazziti del cuore
terrore incute, non vede futuro.
Cerco otre la siepe un orizzonte
dove spaziare, tuffare il pensiero
immagino solo cieli liberi e luce.
Tace il mondo, stretto nel mistero,
è un’ombra subdola e conduce
verso la fine del vitale sentiero.
L’enigma sciolgo nella speranza,
come artiglio m’aggrappo alla volontà,
non cedo, la forza è nella coscienza
matura ancora l’idea e domani sarà,
la rinascita nuova di un mondo intero.